Storie 

Gianni Sasso «vivo la mia vita al meglio nel rispetto di chi non può farlo»

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Le storie non devi cercarle, arrivano da sole, corrono di bocca in bocca, e quando te le trovi davanti, non puoi fare altro che raccontarle. La storia di Gianni Sasso è la dimostrazione di come la forza di volontà e la determinazione possano superare qualsiasi barriera. Questa è la storia di un campione, di un atleta che vive la vita senza nessun limite.

I limiti, come le paure, sono spesso soltanto illusioni.

M. Jordan

Così Michael Jordan diceva a una platea divertita, al momento della sua entrata nella Hall of fame del basket quando tra il serio il faceto, diceva che forse poteva ritornare in campo a cinquanta anni. Oggi posso dire che quella frase non è solo una bella citazione di uno dei più grandi campioni dello sport, ma la realtà di tante persone, tanti atleti che ogni giorno sfidano la vita per amore di se stessi e dello sport. Uno di questi l’ho conosciuto così per caso, non è la prima volta che accade per questa rubrica, l’ho già scritto quando ho raccontato la storia di Run for love project Anna Cerbone.

Ho conosciuto Gianni Sasso grazie al running e grazie alla partecipazione alla Mezza maratona di Caserta Reggia- Reggia. Lì mentre arrancavo nei primi chilometri, mi sono visto davanti un uomo spinto da tanta forza di volontà e due stampelle, che correva con tanta grinta e ritmo.

In quel momento di fatica, ho pensato alla frase di Jordan e al fatto che le storie ti si parano davanti senza alcun preavviso, non si può fare altro che raccoglierle e raccontarle. Io ho l’onore di raccontarvi quella di Gianni Sasso, un atleta di Ischia che a 16 anni si è visto stroncare il sogno di calciatore, a causa di un incidente che gli ha fatto perdere la gamba, ma che è riuscito a rinascere e a trovare la forza per raggiungere dei traguardi incredibili. Calcio, Maratona, bici e Triathlon: Gianni Sasso riesce ad eccellere in tutti gli sport. Tre volte sotto il record del mondo partecipando a tante maratone (tra cui New York, Chicago, Amsterdam), medaglia di bronzo agli europei di Triathlon nel 2013, Campione italiano e ottavo al Mondiale di Londra. Poi c’è il sogno Olimpico di Rio, con la partecipazione alle Paralimpiadi in Brasile e il nono posto nel Triathlon.

Ma lo spessore di Gianni Sasso va oltre le onorificenze, è la dimostrazione di quanto i limiti siano solo un’illusione.

Questa è la sua storia, che non potevo raccontare se non attraverso le sue parole.

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Chi è Gianni Sasso? Si presenti in poche parole ai nostri lettori.
Gianni Sasso è un innamorato della vita in tutte le sue sfaccettature. Amo lo sport, i viaggi e stare insieme agli amici. Guardo avanti in cerca di nuovi stimoli. Non mi precludo nulla: in fondo ho solo una gamba in meno.

Leggo dalla sua biografia che a 16 anni era una promessa del calcio, poi l’incidente che l’ha privato di una gamba e ha posto fine a quel sogno. Cosa si prova in quei momenti, quando da giovanissimo sembra che tutto quello che ami nella vita sia finito?
Il calcio era la mia vita ed è ancora il mio sport preferito. Quando mi accorsi che avevo un arto in meno il primo pensiero fu “E ora come potrò più giocare”. Fu difficile da accettare in quel momento ma subito pensai a rialzarmi: non mi sono mai depresso.

Poi la ripresa e il sogno che rinasce di nuovo con il calcio a 5 e gli amici dell’Arrapaho, da dove prende tanta forza?
Ognuno di noi ha dentro tanta forza che nemmeno conosce di avere. A volte viene fuori grazie ad eventi, come nel mio caso sfortunati. Non penso di essere diverso dagli altri. Ho solo avuto la fortuna di riuscire a tirare fuori la mia voglia di vivere anche grazie al supporto dei miei genitori e amici sempre presenti.

Dopo i tre incidenti,  è sempre riuscito a rialzarsi, questi ostacoli che sembravano bloccare il suo cammino, lei è credente? Crede nel destino? Non ha mai pensato che qualcosa o qualcuno ce l’avesse con lei?
Credo. Si. Credo in un Dio che governa le cose ma non ho mai pensato che ce l’avesse con me. Quello che mi è successo è parte del mio cammino. Le cicatrici forse erano necessarie per farmi diventare l’uomo che sono oggi.

Quando ho appreso i particolari della sua storia mi è venuto da pensare ai momenti in cui si è reso conto della sua vita stravolta e del sogno infranto, poi però da un evento sfortunato e tragico sono arrivate tante altre cose, Record, Olimpiadi e tanti riconoscimenti ed emozioni. Mi perdoni la domanda un po’ sciocca, ma lei si sentiva così forte anche a 16 anni prima dell’incidente? Cosa significa rialzarsi ogni volta e ricominciare ancora con più voglia?
A detta degli altri me la cavavo più che bene. Il giorno dell’incidente avevo esordito con l’Under18 del mio Paese in un campionato difficile e dove i ragazzi erano tutti più grandi di me. Il sogno era il calcio, ma con gli anni e l’incidente, anche quello è cambiato. Con entrambe le gambe avrei rincorso una carriera calcistica, con una in meno mi sono “divertito” in altre discipline. Chissà se senza l’incidente avrei fatto tutto ciò. Chi può dirlo?

Gianni Sasso – World Record Amsterdam Marathon 2012 from GianniSasso on Vimeo.

Poi infatti è arrivata la corsa, le maratone e i record. Cosa significa per lei correre? Come ha deciso di armarsi di forza e stampelle e iniziare a correre?
Amo lo sforzo fisico e come ci si sente dopo gli allenamenti. Certo, ci vuole una scintilla e come spesso accade, nasce tutto su un tavolino con gli amici davanti ad una birra. Così nacque l’idea della prima maratona con un pizzico di sana follia.

Quanto sono importanti famiglia e amici in tutto questo?
Credo che siano fondamentali, e non solo nel mio caso. La famiglia, i valori che ti inculca, le amicizie sane e giuste sono alla base della crescita e del percorso di vita di ognuno di noi. Io da questo punto di vista sono stato fortunato. Mia mamma e mio padre (e mio fratello Stefano)  mi hanno dato tutto senza mostrare mai un pizzico di sofferenza per la mia condizione.  E i miei amici sono stati sempre presenti e lo sono ancora oggi.

Il sogno del calcio è poi ritornato con la Nazionale Italiana di Calcio Amputati. È proprio vero che il primo amore non si scorda mai, come ha affrontato questo ulteriore passo nella sua vita?
Fui chiamato sin dalla nascita del progetto: era dicembre 2012 e mi contattò Francesco Messori, il ragazzo che con la mamma è stato il fautore della Nazionale Amputati e che conobbi in un evento a Ischia. Mi sentii subito emotivamente coinvolto: un progetto legato al calcio (che comunque praticavo ancora con i miei amici in campionati amatoriali di calcio a 5 e a 11 contro tutti normodotati), ma soprattutto perché potevo dare ai ragazzi della squadra una spinta in più. Tutti giovani, tutti con esperienze brutte alle spalle e con voglia di ripartire ma un po’ “ingolfati”: io gli do la scintilla. La vita va vissuta sempre!

Arriviamo all’esperienza con il triathlon, perché correre le sembrava troppo semplice e siccome amava la bici non riusciva a scegliere, immagino. I grandi titoli, i record, le soddisfazioni a non finire e l’unione dei tre elementi che l’hanno sempre accompagnata. Cosa significa il triathlon per lei e cosa si prova a superare anche gli atleti normodotati?
Mi sono ritrovato quasi per caso a fare questa disciplina. La provai in un evento ad Ischia e lì c’erano alcuni tecnici federali. Mi videro e mi convinsero a provare. Da allora 3 anni di sacrifici: allenamenti durissimi, lunghi periodi lontano di casa, ore ed ore in piscina per imparare al meglio la tecnico del nuoto, uscite in bici all’alba a macinare chilometri sotto qualsiasi meteo, l’abbandono delle stampelle e l’adattamento alla protesi. Ma la passione per lo sport mi ha fatto superare tutto questo.

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Il suo obiettivo, dopo l’ottavo posto al mondiale, erano le paraolimpiadi come ha affrontato negli anni all’avvicinamento di quel sogno?
Tante gare soprattutto all’estero. Mondiali, europei, un continuo inseguimento per raggiungere la migliore posizione e racimolare più punti possibili per il Ranking che dava la possibilità di andare a Rio2016. Dal Sud Africa, all’Australia, passando per il Giappone e fino agli USA e Canada. Gare ovunque. Poco tempo per visitare: solo tensione pregara, aeroporti e fatica al rientro. Una esperienza dura ma che mi ha aperto le porte della massima espressione dello sport: le Olimpiadi.

Il nono posto nel Triathlon è stato il coronamento del sogno, com’è stata per lei la partecipazione alle paralimpiadi di Rio?
Da Ranking ero dentro, ma finché non arriva la telefonata che ufficializzava, avevo sempre un po’ di paura. Quando a fine luglio mi ha contattato la Federazione, dandomi la conferma, un brivido infinito mi ha attraversato tutto il corpo: anni di fatica e finalmente realizzavo qualcosa che per molti non è nemmeno immaginabile. Da lì è stato un crescendo di emozioni: dal volo con Pancalli, agli altri atleti, che ai novizi come me dicevano “guarda che questa è una Olimpiadi, mica una gara come le altre, l’hai fatta grossa”; dal respirare l’aria nel villaggio Olimpico, alla sera della sfilata di apertura; dai giorni precedenti la gara con i classici allenamenti, alla tensione scaricata solo sotto il traguardo all’arrivo. Una gara bella, difficile, chiusa al nono posto nonostante l’handicap più grave e l’età più avanzata rispetto agli altri grandissimi atleti. E poi la festa, l’incontro con altri atleti, le mille storie ascoltate, l’orgoglio di aver portato la mia isola per la prima volta nell’olimpo dello sport. Fantastico!

Dopo di che la mezzamaratona a Caserta. Immagino che un uomo come lei, nel momento in cui raggiunge un obiettivo, sta già pensando al prossimo step da raggiungere. Vederla correre a Caserta mi ha profondamente emozionato, quanto è duro il suo allenamento per arrivare a raggiungere determinati traguardi? Quali sono i prossimi obiettivi?
La mezza di Caserta è stato solo un step in vista di una idea che mi balla da un po’ nella testa. Con Emmanuel e Michele, i ragazzi della Cicliscotto per la quale sono tesserato, ci alleniamo quotidianamente. Non sveliamo ancora il nostro prossimo progetto ma la mezza di Caserta, un evento davvero bello in una location eccezionale, ci ha fatto capire che con un po’ di lavoro duro potremmo puntare a qualcosa di importante.

La sua vita è stata  complicata, piena di cadute e risalite, ma sempre guidata dalla determinazione e credo dai sogni, fondamentali per raggiungere tutti i suoi obiettivi e superare ogni limite. Qual è il suo sogno?
La mia vita è stata bella fino ad ora e mi auguro continui così. Nessuna complicazione particolare: ho solo provato a raggiungere i miei obiettivi superando gli ostacoli che mi si ponevano davanti. I limiti che abbiamo spesso sono solo nella nostra testa. La determinazione, la voglia, il desiderio: questo deve spingerci ad andare avanti. Sogni particolari non ne ho: vivo al meglio e prendo tutto quello che la vita mia dà.

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Lei è molto legato alla sua terra. Quanto è importante Ischia per lei e quanto ha contato nel costituire quella tempra che le permette di compiere imprese straordinarie?
Ischia è la terra dove sono nato e cresciuto, dove sono le mie radici e i miei affetti: è la cosa che mi mancava di più nei lunghi periodi di preparazione lontano da casa. La mia è una tempra mista forgiata da una terra di coraggiosi pescatori e umili contadini. E’ un isola grande ma ci conosciamo quasi tutti e tutti sono fondamentali nello spingermi sempre oltre.

L’arretramento delle infrastrutture sportive l’ha un po’ frenata con gli allenamenti in bici e su pista. Il nostro Paese è ancora indietro nella cultura sportiva soprattutto per gli atleti con disabilità, questo ha influito molto sul suo allenamento?
Purtroppo è un tasto dolente di Ischia e dell’Italia intera. Mentre io sono abile a muovermi vedo molte persone incastrate in barriere architettoniche, vedo impianti sportivi preclusi, vedo poco rispetto. E questo non mi va. Siamo molto indietro rispetto alle diverse culture che ho visto viaggiando. Mi auguro che ci sia una inversione di tendenza seria!

Concluda lei come preferisce e la ringrazio vivamente per la sua disponibilità.
Mi piace risottolineare il concetto di amore per la vita. È una e la dobbiamo vivere al meglio con tutte le prove che ci pone davanti. Ho incontrato ragazzi con difficoltà molto più gravi della mia; ho vissuto storie al fianco di chi non riesce nemmeno a sentirne l’odore della vita. Noi abbiamo un dono: la vita è un regalo e nel rispetto di chi non può viverla al meglio dobbiamo farlo noi.

Daniele Maisto
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